Dal "rito del gambero" al "rito del
ping pong": brevi osservazioni sul Ddl per le modifiche al codice di
procedura civile
di Antonio DIDONE (già pubblicato su D&G online)
Preceduto da grande risonanza sulla stampa quotidiana che annunciava finalmente una svolta nell’opera di riforma del processo civile, in cui «saranno gli avvocati di attore e convenuto a scambiarsi memorie, documenti, comparse, in un ping pong che accentua la responsabilità del difensore» (vedi «Il sole 24 ore del 25 ottobre 2003), proprio nel giorno in cui si è svolto lo sciopero generale e contemporaneamente venivano tratti in arresto numerosi presunti appartenenti alle Brigate Rosse, il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge di delega al Governo per l’attuazione di modifiche al codice di procedura civile.
Con il progetto di riforma, ha dichiarato il Ministro della Giustizia alla stampa, «tutto dovrebbe diventare molto più veloce» e alla legge delega ha dato il benvenuto anche il presidente dell’Oua, Silvano Berti, per il quale questa riforma rappresenta l’ultima spiaggia per un recupero di efficienza con lo snellimento del sistema processuale.
Senza dubbio, l’uomo della strada sarà rimasto alquanto perplesso nel constatare che a fronte di tali annunci entusiastici la stessa testata giornalistica riportava contemporaneamente il giudizio severo di un apprezzato e noto processualista secondo il quale «è tutto da dimostrare che questo meccanismo possa portare a una diminuzione dei tempi processuali», trattandosi di soluzione «per molti versi analoga a quella che si sperimenterà a breve nel processo commerciale, ma in quel caso la fase preliminare può durare anche un anno» (cfr. Intervista a Verde: «Scelte da verificare», ilsole24ore del 25 ottobre 2003).
Per vero, gli operatori del diritto meno distratti certamente si saranno meravigliati meno dell’uomo della strada, se solo hanno letto il resoconto di un recentissimo convegno tenuto dai processualisti italiani in merito alle riforme in cantiere (Querzola, Il convegno nazionale su «Esperienze e prospettive della giustizia italiana», in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 2003, pag. 361 ss.) nel quale si dà atto del giudizio negativo espresso da autorevoli studiosi sul progetto di riforma ora approvato dal Governo. In particolare, si riferisce del disaccordo espresso dal prof. Federico Carpi, secondo il quale il progetto mira ad una sorta di «privatizzazione» del processo civile «che porta con sé il pericolo che la libertà degli avvocati si traduca in un sacrificio del diritto sostanziale della parte privata, tanto più svantaggiata quanto più debole, specie se il confronto la vede opposta ad una parte forte con un avvocato che lo è altrettanto» (Querzola, op. cit., pag. 363).
In realtà, proprio introducendo quel convegno il presidente dell’Associazione italiana fra gli studiosi del processo civile aveva ammonito a non dimenticare che «la smania di modifiche normative nasconde, per lo più, inesperienze o fini impropri» (Fazzalari, Esperienze e prospettive della giustizia italiana, in Riv. Trim. dir. Proc. Civ., 2003, pag. 111).
A giustificazione della soluzione accolta dal progetto governativo nel limitare l’intervento del giudice nella fase preparatoria del processo, un noto processualista, in un commento pubblicato in tempo reale sul sito del Ministero della Giustizia, ha puntualizzato che la riforma è ispirata al principio di sussidiarietà, che viene esplicitato nei seguenti termini: così come nel favorire le varie forme di composizione amichevole della lite il progetto si ispira al principio di sussidiarietà della giurisdizione, «lo stesso principio di sussidiarietà ispira il progetto anche con riferimento al ruolo del giudice all'interno del processo. L'attività del giudice è, in ogni caso, un bene prezioso: lo è ancor di più nella situazione italiana, dove l'organico della magistratura è nettamente sottodimensionato rispetto alle necessità. E dunque, si deve utilizzare il giudice per quella che veramente è la sua ineliminabile funzione: giudicare, cioè decidere. Non è bene comunque, e non lo è a maggior ragione nel nostro Paese, caricare il giudice di compiti che possono essere svolti dalle parti, oppure da altri soggetti» (Luiso, in http://www.giustizia.it/editoriale/luiso.htm).
Non è possibile dare atto compiutamente del contenuto del progetto di riforma in un commento a prima lettura, quale questo scritto vuole essere. Pertanto è opportuno limitare queste brevi osservazioni alla parte del progetto che ha maggiormente attirato l’attenzione dei media e al principio di sussidiarietà del «ruolo del giudice» come sopra illustrato, senza mancare di segnalare la presenza di altre condivisibili proposte innovative, peraltro già contenute nel progetto di riforma redatto dalla Commissione ministeriale presieduta dal Prof. Tarzia oppure sollecitate nel corso di recenti convegni dell’Anm (per tali aspetti e, in particolare, per l’istruttoria di parte prevista dall’articolo 20 e per il procedimento abbreviato previsto dall’articolo 48 cfr. i suggerimenti in Didone, Le priorità nella giustizia civile, in Riv. Dir. Proc., 2001, pag. 1158 ss.).
2 – Il discorso, dunque, può essere limitato, anche per restare nel tema tracciato dal titolo di queste brevi osservazioni, a quattro disposizioni del disegno di legge delega: le prime tre relative alla fase di trattazione del processo in primo grado (articoli 16, 17 e 18) la quarta al processo di appello (articolo 30).
I criteri direttivi della legge delega in tema di fase preparatoria del processo ordinario contenuti nell’articolo 16 del disegno di legge delega impongono di prevedere:
a) che il processo sia introdotto con atto di citazione, senza indicazione dell’udienza, da depositarsi in cancelleria con i documenti offerti in comunicazione, entro un termine perentorio;
b) che nell’atto di citazione l’attore fissi al convenuto un termine, disciplinato dalla legge solo nel minimo, entro il quale il convenuto può replicare con una comparsa di risposta da notificare, o comunicare, all’attore e all’eventuale terzo e da depositare in cancelleria con i documenti offerti in comunicazione;
c) che, in caso di mancata costituzione in cancelleria dell’attore, il convenuto possa costituirsi chiedendo la fissazione dell’udienza di discussione ovvero, in difetto, l’estinzione del processo con salvezza degli effetti sostanziali della domanda;
d) che sia attribuita la facoltà per l’attore costituito di replicare con atto notificato, o comunicato, al convenuto, ovvero di comunicare che intende depositare istanza di fissazione dell’udienza e la facoltà per il convenuto, ove l’attore abbia optato per la replica, di replicare a sua volta, ovvero di comunicare che intende depositare istanza di fissazione dell’udienza;
e) che l’estensione della trattazione scritta tra le parti si protragga fin quando una di esse, in luogo di replicare, depositi e notifichi alle altre parti istanza di fissazione dell’udienza, entro un termine perentorio decorrente dall’ultima difesa effettuata;
f) infine dovrà essere prevista l’estinzione del giudizio in caso di mancata presentazione dell’istanza di fissazione dell’udienza.
L’articolo 17 disciplina l’istanza di fissazione dell’udienza, la quale potrà essere presentata, oltre che per ottenere la decisione nel merito della causa, anche per ottenere provvedimenti anticipatori di condanna o cautelari, ovvero per chiedere la decisione su «incidenti del processo quali la chiamata di terzi o l’integrità del contraddittorio», pur dovendo, anche in tali casi, «contenere le conclusioni finali di rito e di merito, salva sempre la facoltà di replica della controparte».
Infine, l’articolo 18 disciplina le preclusioni processuali riducendone la rilevabilità ad opera del giudice mentre l’articolo 30, lett. f), disciplina il regime delle novità in appello, escludendo in linea di principio le nuove domande ma «ammettendo le nuove allegazioni e le nuove prove».
Orbene, se le nuove allegazioni – in quanto contrapposte alle nuove domande – vanno intese anche come nuove eccezioni, la riforma, tenendo conto dell’ammissibilità senza limiti di nuove prove in appello, reintrodurrebbe quel «rito del gambero» disciplinato dal codice vigente prima della miniriforma entrata in vigore nel 1995, con la possibilità, quindi, di riaprire il thema decidendum ed il thema probandum finanche in appello, con il procedere, dunque, tipico del «gambero» e con evidenti conseguenze sulla durata complessiva del processo (Strasburgo è di nuovo alle porte).
In ordine alla fase introduttiva del processo, poi, è facile rilevare che se il criterio direttivo verrà attuato mediante previsione di un articolato simile a quello del processo societario di cui al Dlgs 17 gennaio 2003 n. 5, in vigore dal prossimo 1° gennaio 2004, resta l’obiezione (rinvio a Didone, Appunti sul nuovo processo societario di cognizione (con l’ausilio del «commento anticipato» del Mortara e del Ricci, in Giur. It., 2003, in corso di pubblicazione) per la quale l’intreccio di termini previsto dalla norma, tenuto conto che in caso di processo con più parti il decorso dei termini non è unitario ed è diverso per ciascuna parte in relazione alla scadenza prevista per la notifica dello scritto difensivo di ognuna di esse, difficilmente gli avvocati (e soprattutto i cittadini parti del processo civile) desiderosi di ottenere una pronuncia sul merito della lite e non soltanto sulla regolarità del processo, potranno essere d’accordo sulla riforma. Soprattutto, la scadenza di termini diversi per replicare a ciascuna parte avversa costringerà gli avvocati a munirsi di sofisticato software capace di segnalare l’epoca di notifica della propria replica all’una o all’altra parte senza incorrere in decadenze. Peraltro, riproducendo la riforma il processo formale del codice di procedura del 1865 è utilizzabile un «commento anticipato», autorevolissimo. Il Mortara, dopo avere stigmatizzato l’esagerata preoccupazione del legislatore per la «sicurezza dei litiganti», che aveva giustificato l’istituzione di termini e modi ampi e comodi per l’istruzione e discussione della causa con il «grande sacrificio» costituito dalla «eliminazione di ogni attribuzione di vigilanza del magistrato» sopra lo svolgimento del processo, «affidato alla sollecitudine e allo zelo dei patrocinatori, col presidio di termini comminatorii che ciascuno d’essi era abilitato a far valere contro l’avversario», evidenziò il pericolo insito in tale sistema. In particolare, l’insigne Autore lamentò che «non si riflettè che avrebbe occorso che ciascun procuratore tenesse un solo affare giudiziario in corso e in cura, per mantenere vive intorno ad esso la solerzia e l’attività necessarie a farlo procedere in modo sufficientemente rapido e regolare» (Mortara, Commentario del Codice e delle Leggi di Procedura Civile, Milano, 1923 (VI ed.), III, 356).
Il rappresentante dell’avvocatura interpellato dalla testata giornalistica innanzi richiamata, prima di formulare la propria soddisfazione per la proposta governativa, si è accertato del gradimento dei circa 150.000 avvocati italiani per un tale sistema macchinoso già criticato all’inizio del novecento?
A chi ha annunciato una svolta nella procedura civile, o sostenuto le potenzialità acceleratorie della riforma (Ministro della Giustizia) o, ancora, ha assicurato che quella governativa non è «una proposta rivoluzionaria, nel senso che essa rovesci i fondamenti del processo civile attualmente vigente» e che «ciò, oltretutto, non avrebbe senso, perché la struttura base del processo civile moderno è comune a tutti gli Stati occidentali» (Luiso, op. cit.) mi permetto di segnalare un recentissimo documento redatto congiuntamente da avvocati e magistrati francesi, desiderosi di risolvere problemi comuni alle due categorie professionali in tema di giustizia civile (Eccessiva penalizzazione, di P. Bezard, J-F Burgelin, P. Courroye, J-M Darrois, M-N Dompé, F Franchi, D. Martin, E Mulon-Montéran, C Vacandare, F Vert, in Le Monde, versione on line del 1° ottobre 2003). In esso, tra l’altro, si auspica «una riforma più sostanziale della procedura civile che tende a rafforzare - per riequilibrarli - i poteri del giudice civile rispetto a quelli del giudice penale» e, in attesa dell’auspicata riforma, si sollecita un «ruolo più attivo» del giudice civile nell'istruzione delle cause, «d’ufficio o su richiesta delle parti». In particolare, si precisa che «ciò che si può desiderare, è, in alcuni casi specifici, una affermazione più netta da parte del giudice civile delle prerogative che sono sue in occasione della fase d'istruzione delle cause. Nulla lo costringe ad accontentarsi di ciò che le parti vogliono dirgli e sono in grado di fornirgli: può, sul modello del giudice penale (…) verificare, sentire, constatare, fare comparire, confrontare, indagare...».
Altro che «principio di sussidiarietà» del ruolo del giudice civile all’interno del processo, se è vero che «la struttura base del processo civile moderno è comune a tutti gli Stati occidentali». *magistrato