Pubblichiamo l’editoriale dell’ultimo numero della Rivista Giustizia Insieme, di Nicola Di Grazia Segretario generale del Movimento e direttore della Rivista, per l’attualità e l’importanza delle tematiche associative che tratta.
AREA e gli equivoci della partecipazione ‘liquida'
Abbiamo parlato in ogni modo e in ogni forma del difetto di partecipazione che affligge l’associazionismo giudiziario, della crisi del modello tradizionale di “corrente” e del conseguente clima di sfiducia che ricade sull’idea stessa del confronto organizzato tra opzioni culturali diverse all’interno della magistratura e nell’impegno di autogoverno.
Rispetto a questa analisi, ormai sempre più consapevolmente condivisa, ci troviamo di fronte, oggi, al rischio di due equivoci tra loro collegati che il prossimo futuro dovrà risolvere.
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Il primo equivoco è quello della confusione tra gli strumenti e i fini.
L'obiettivo di Area, della più grande aggregazione della magistratura associata italiana, non può e non deve essere solo "la partecipazione".
Alla domanda di fondo sull’identità fondante non si può rispondere: "Area è il luogo della partecipazione e delle primarie".
Il forte rilancio del modo in cui si fa associazione e si crea aggregazione è un passaggio essenziale, ma non fine a se stesso. Anche l’eventuale raggiungimento di un nuovo e moderno modello di partecipazione che superi quello tradizionale non costituirebbe un risultato da solo soddisfacente.
Al contrario, rinnovare il modo in cui si pratica l’associazionismo deve servire per liberare energie, recuperare visione e futuro nel dibattito culturale della magistratura. Nel caso di Area deve servire per offrire un’alternativa seria e credibile al neo-corporativismo chiuso e autoreferenziale; per cercare un consenso “nuovo” sulle risposte da fornire alle sfide del futuro.
La riflessione sui meccanismi e le procedure decisionali, sulla selezione dei rappresentanti è quindi importante, ma non basta. Occorre che la storia, le elaborazioni e i contributi dei gruppi orginari vengano posti in un circuito virtuoso di confronto tra loro e con i tanti percorsi che maturano diversamente. Per andare oltre, nel tentativo di comporre un nuovo orizzonte e non per limitarsi a fotografare un puzzle confuso in cui ognuno bada solo al proprio pezzo.
La rivista Giustizia Insieme, ad esempio, si propone l’obiettivo di fornire un contributo a questo percorso. Un luogo in cui la discussione sui contenuti si apre a tutti i possibili apporti per offrire materiale di riflessione all’elaborazione di sintesi del nuovo soggetto associativo.
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Il secondo equivoco riguarda la qualità stessa della partecipazione alla vita associativa.
Ciò che non riusciamo forse a mettere a fuoco con sufficiente chiarezza è che la democrazia diretta e la democrazia partecipativa sono due cose differenti.
Recentemente, in un nota trasmissione televisiva, il guru della campagna elettorale Internet di Obama, Harper Reed, ha spiegato come la rete riduca “i costi di transazione" dell'organizzazione politica, potendo mettere in rete informazioni disperse, semplificandone i passaggi trasmissivi (la 'procedura') e in parte anche quelli decisionali, ma senza produrre, di per sé, decisioni o scelte (la 'delega') su tutto.
E’ questa forse una suggestione con cui anche l’associazionismo giudiziario del futuro, e in parte Area, dovrà fare i conti: alcuni pensano, confusamente, che la partecipazione dal basso, in un futuro ormai prossimo, con gli strumenti offerti dal web, non sarà soltanto confronto e discussione, ma anche, e soprattutto, decisione.
Quello che i sostenitori di questa visione trascurano è che la rete è un potente mezzo di diffusione di informazioni e di discussione 'orizzontale'. Ma non è possibile gestire la complessità senza mediazione, e quindi senza un momento di delega verticale. Una cosa è aggregare le preferenze su un singolo semplice tema, con scelte alternative, stile referendum; altra cosa è definire un regime complessivo di atteggiamenti e il loro grado di complementarietà.
La visione "liquida" di Area, di cui alcuni parlano, può servire, allora, se costringe chi ha la delega a misurarsi con una forma continua e strutturata di consenso e di dissenso. In altre parole, se contribuisce a rivitalizzare i meccanismi della democrazia rappresentativa, secondo quello che già fanno tante realtà associative nel nostro Paese.
Quello che occorre sviluppare, dunque, sono spazi di partecipazione, non certo alle decisioni, che attengono alla democrazia rappresentativa, ma certamente ai processi deliberativi, a come si giunge alla decisione presa dai rappresentanti e a come si esercita il mandato ricevuto. Spazi di discussione che devono essere aperti a partire dalle singole realtà di base, territoriali o professionali, per poi portare al livello successivo la sintesi del loro dibattito pubblico, che via via cresce fino a quando nella posizione finale che si stabilisce ciascuno ha modo di riconoscere il proprio contributo.
Ignorare la necessità di mantenere meccanismi mediati di delega e pensare, invece, che tutto possa essere risolto con un “click” significa essere ingenui o, peggio, rischiare di nascondere nell’ansia del superamento degli apparati dei tradizionali gruppi associativi l'organizzatore occulto che poi media per tutti.
Nicola Di Grazia
segretario generale del Movimento per la Giustizia-art.3