Il ruolo della Corte di Cassazione nelle recenti riforme: un nuovo vertice della magistratura?
Intervento di Mario Fresa
Qualche tempo fa l’allora sottosegretario alla Giustizia, on Vietti, ebbe a dire, nel contesto di alcuni emendamenti in tema di riforma dell’ordinamento giudiziario, poi ritirati dall’UDC, che “la Giustizia è dei magistrati”.
Mai affermazione fu tanto contestata, anche all’interno dell’ANM, che da diversi anni non è più chiusa a corporazione, ma è tesa a formulare concrete proposte di miglioramento del sistema Giustizia.
Perché la Giustizia, si sa, non è dei magistrati, ma dei cittadini, in nome dei quali ogni giorno i magistrati esercitano la giurisdizione e pronunciano le sentenze.
Questo principio fondamentale della Costituzione, non è stato tenuto presente dal legislatore degli ultimi anni, impegnato in un lavorio di riforme settoriali, parziali, ad personam, senza una visione complessiva dei problemi della Giustizia, interconnessi l’uno con l’altro e ruotanti intorno a tre cardini fondamentali, che rispondono poi a tre fondamentali domande dei cittadini:
1) Certezza del diritto;
2) Professionalità dei magistrati;
3) Efficienza della giustizia.
Il varo della controriforma ordinamentale tende, tra l’altro, a trasformare la Corte di cassazione da vertice del sistema delle impugnazioni a vertice dell’organizzazione giudiziaria. Tale ruolo è reso evidente dalla partecipazione dei magistrati di legittimità ad ogni commissione di concorso, dalla presenza del Primo Presidente e del Procuratore Generale della Cassazione nella Scuola (anche attraverso delegati), dal riconoscimento di specifiche legittimazioni o titoli preferenziali per il conferimento di uffici direttivi o semidirettivi, che non trova nessuna giustificazione nella specifica esperienza maturata nell’esercizio delle funzioni di legittimità.
Su questa linea, la controriforma pare rispondere solo alla prima delle tre fondamentali domande di Giustizia, quella della certezza del diritto, con la creazione però di una figura di magistrato burocrate e conformista e, al tempo stesso, ambizioso e carrierista, che si uniformerà pedissequamente ai principi statuiti dalla Corte Suprema pur di vincere rapidamente i concorsi e precorrere le tappe verso l’esercizio delle funzioni di legittimità.
E la stessa Corte Suprema troverà più difficoltà ad adeguare la sua giurisprudenza al c.d. diritto vivente, secondo linee di interpretazione sistematico-evolutiva.
Avremo forse un diritto più certo, ma anche un diritto ingessato.
Sull’efficienza del sistema e, in particolare, sulla incidenza della controriforma sull’attività della Corte di cassazione, vi sarebbe molto da dire, ma nell’economia di questo breve discorso, dico solo che - a dispetto di quanto propagandisticamente affermato nella relazione introduttiva al disegno di legge e, cioè, che “il servizio giustizia” si è dimostrato inadeguato a soddisfare le esigenze dei cittadini e che la riforma in atto è finalizzata ad un ricupero dell’efficienza della giustizia - non vi è una sola norma nell’intera controriforma, che in concreto migliori l’efficienza.
Avremo concorsi più lunghi, molto più lunghi, rispetto ai tempi già oggi patologicamente lunghi occorrenti per la copertura dei posti in organico e, soprattutto, per la copertura degli ambiti posti di cassazione.
Avremo molti, moltissimi magistrati di cassazione sottratti alle funzioni di legittimità per andare a svolgere ruoli di componenti di commissioni esterne, o impegnati presso la Scuola di formazione, quali docenti o anche quali discenti.
Ed avremo una Corte Suprema che rischia di diventare da punto definitivo di approdo di un magistrato a momento di provvisorio “transito” per andare poi a concorrere utilmente per il conferimento degli incarichi direttivi di più alto prestigio.
Non ritengo poi – come tutta l’ANM – che il farraginoso sistema dei concorsi per titoli ed esami o solo per titoli, destinato a condurre non i migliori magistrati, ma quelli più fortunati, al rapido svolgimento delle funzioni di legittimità, vada nel senso di un effettivo miglioramento della professionalità del corpus dei magistrati.
In realtà il nuovo sistema generalizzato dei concorsi - per il numero, per la composizione delle commissioni esterne al CSM ove prevalgono appunto magistrati di legittimità, per il peso dei titoli e degli esami che prescindono dalla valutazione dell’esercizio dell’attività giurisdizionale dell’interessato – non sembra conforme al principio costituzionale della pari dignità delle funzioni e del buon andamento dell’amministrazione.
L’attitudine di un magistrato a rivestire funzioni di legittimità, in nome dell’efficienza del servizio, va sempre collegata ad una valutazione complessiva, che riguardi non solo la preparazione tecnica, ma anche il modo di svolgere la propria attività, la capacità di organizzare il proprio lavoro, di coordinare le risorse a sua disposizione. Tale valutazione, per sua stessa natura, non può che essere affidata alla competenza del circuito dell’autogoverno.
Il sistema di attribuzione delle funzioni di cassazione deve perciò rimanere conforme al principio costituzionale della pari dignità di tutte le funzioni (art. 107 Cost.).
Le leggi di abbattimento della carriera, che hanno negli anni ‘60/’70 adeguato il vecchio ordinamento giudiziario ai principi costituzionali, sono state tutte univocamente puntuali e precise nel fare riferimento, come parametri di valutazione, a dati connessi alla “personalità tecnico-professionale” del magistrato: preparazione, capacità, laboriosità, diligenza, equilibrio. Con ciò hanno indotto un mutamento sensibile nella professionalità dei magistrati, ponendo fine alle spinte carrieristiche e determinando quella classica figura del magistrato che “nulla teme e nulla spera”.
Certo, il sistema non ha dato i frutti auspicati a causa di una inadeguata cultura dell’autogoverno, che ha privilegiato le spinte corporative e gli interessi correntizi rispetto ad una valutazione di professionalità che privilegiasse criteri obiettivi e predeterminati e, in relazione all’accesso in cassazione, criteri che documentassero in maniera obiettiva le attitudini allo studio ed alla ricerca, desumibili, essenzialmente dal concreto svolgimento della giurisdizione e, solo in seconda battuta, dai titoli scientifici, pubblicazioni, relazioni a convegni, ecc.
Ma le patologie nel concreto esercizio dell’autogoverno vanno risolte non violando le prerogative costituzionalmente garantite al CSM e dando modo alle Commissioni esterne ed alla Scuola, composte da soggetti estranei al circuito dell’autogoverno, di incidere sensibilmente sulle sorti professionali di ciascun magistrato, ma, al contrario, rafforzando proprio il circuito dell’autogoverno, che come noto è composto non soltanto dal CSM, ed impedendo quelle patologie ultimamente segnalate anche dal Capo dello Stato, in relazione tra l’altro alla copertura di numerosi posti di presidente di sezione in cassazione.
Per questo l’ANM, già due anni fa, aveva formulato una concreta proposta di modifica dell’accesso in cassazione, tesa a rafforzare le fonti di conoscenza, ancorandole a dati obiettivi, e prevedendo l’istituzione, presso il CSM, di una apposita commissione referente, in modo da assicurare una adeguata valutazione della professionalità specifica.
Il concorso per l’accesso alle funzioni di cassazione – secondo la proposta dell’ANM - potrebbe poi prevedere che il CSM nomini un apposito comitato consultivo, composto da magistrati di cassazione e di merito e da professori universitari, che operi un primo esame dei provvedimenti e della produzione scientifica degli aspiranti alla funzione di legittimità, finalizzato alla valutazione delle specifiche attitudini.
Tale valutazione, non vincolante, dovrebbe essere integrata da quella della commissione referente del CSM, che potrà considerare anche con il dovuto peso professionalità, laboriosità ed attitudini sulla base dell’esercizio concreto della attività giurisdizionale nelle funzioni di merito.
Parlo oggi di questa proposta, già inutilmente formulata in tutte le sedi, perché sono un inguaribile ottimista ed oggi abbiamo tutti il dovere di essere degli inguaribili ottimisti.
Sino a quando non entreranno in vigore i decreti legislativi destinati a segnare un “punto di non ritorno” nella cultura della giurisdizione che ci è stata insegnata dai nostri padri costituenti, abbiamo il dovere e non solo il diritto di ribadire che con queste leggi andremo allo sfascio, andremo – come ha detto qualche giorno fa il Primo presidente Marvulli - verso la “bancarotta” della giurisdizione, andremo, in buona sostanza, verso una democrazia più debole.